Il sogno di tutti i subacquei è li a pochi metri da noi, sentiamo lo sciabordio della sua scia, la bocca è spalancata e l’interno è bianco, la pinnona nera sul dorso fende la superficie calma del mare, siamo tutti emozionati, controlliamo macchine fotografiche e videocamere, siamo a due metri dall’obbiettivo, Michele salta e accidenti perde la maschera! Succede spesso, si pensa a mille cose, si cerca di risolvere i mille problemi, e poi non pensiamo che la maschera è messa male. Il mio terrore è quello di scendere in acqua con la custodia della videocamera manomessa, ossia non chiusa bene, magari posso dimenticare le pinne ma la custodia no, deve essere il mio primo pensiero. Trovata una nuova maschera ritentiamo l’avvicinamento e questa volta gli siamo tutti sopra, ci tuffiamo e lo vediamo venirci incontro con la bocca spalancata, se non sapessi che il balena si nutre solo di plancton e di piccoli pesci, sarei morto dalla paura, ed invece ci sfiora e sentiamo perfettamente lo spostamento d’acqua che provoca. Ci sfila davanti, proviamo a nuotargli a fianco, ma non resistiamo più di tanto. A parte le pinnate dei compagni e le manate, stargli dietro è impossibile, ma quando arriva la coda che ti sposta insieme a tutta la massa d’acqua, ti rendi veramente conto della sua potenza. Durante la giornata ne avvistiamo una decina, a volte anche due insieme, ed è bello anche osservarli da fuori, a volte dalla barca li puoi quasi toccare. La stanchezza prende il sopravvento così decidiamo di rientrare con un discreto bottino di foto e di riprese. Mentre ripercorriamo il tragitto dalle barche alla riva, diventato ancora più lungo a causa della marea, Sasha vede in una pozza d’acqua una seppia che si mimetizza sul fondo, cerco di riprenderla al volo con la videocamera. Intanto la nostra guida si avvicina e ci avvisa di far coprire le donne, almeno con un pareo, siamo infatti in una zona dove la maggioranza della popolazione è mussulmana, e dobbiamo adeguarci ai loro costumi.Torniamo al Lodge soddisfatti ed appagati, ma è solo l’inizio, ci aspettano ora le immersioni in un mare del tutto sconosciuto. Mario ci mette a disposizione due imbarcazioni, le tipiche barche di legno locali con vela latina. Una è di modeste dimensioni per un gruppo di sei sette sub, l’altra è notevolmente più grande e sembra la nave del film “Pirati”. Tutta in legno con una zona riparata a poppa ed una scala che porta al piano superiore, dove ci si può sdraiare e prendere il sole. Ma il pezzo forte è il bagno, un piccolo sgabuzzino dove al posto del water c’è una tavola con un buco al centro. La porta per avere un minimo di intimità è
sostituita da una tenda che scorre verticalmente, è proprio la nave dei pirati.il motore è un quaranta cavalli yamaha che spinge come un mulo, l’insieme è funzionale e perfettamente integrato nell’atmosfera del posto.
La Kinasi pass è senza dubbio una delle più belle immersioni. Seguendo le istruzioni di Mario, arriviamo nel momento favorevole di corrente, ossia la fine della corrente di entrata, quella che porta acqua pulita dall’oceano. Come spiega Mario, possiamo incontrare di tutto, e la curiosità aumenta insieme alla frenesia. Conosco bene questo momento, la preparazione frenetica, una gara a chi scende per primo, tutti contro tutti, e allora mi tocca ripetere il sermone del sistema di coppia, del controllare l’attrezzatura e le eventuali perdite dell’erogatore. Funziona sempre e gli animi si calmano.
La fiancata della barca è abbastanza alta, è meglio saltare con il passo da gigante, oppure se la corrente non è molta, ci si può vestire in acqua, come da anni insegno nei corsi. In effetti quando si è in tanti a bordo è il metodo più sbrigativo, e poi c’è meno rischio di farsi male e tutto sommato lo trovo più comodo. Così mi butto indossando maschera e pinne, un marinaio a cui indico il mio gruppo, mi getta il tutto in acqua. in un attimo lo indosso e poi afferro la videocamera che una mano amica mi porge.
Siamo tutti sulla cima e pronti a scendere. Mi guardo intorno e sono subito colpito dalla moltitudine di vita che ci circonda. L’acqua non è chiarissima come nel Mar Rosso, ma più che sufficiente per vedere ogni ben di dio e fare riprese. Purtroppo il cielo è nuvoloso ed anche questo non aiuta, ma quando sono sui diciotto metri, lo spettacolo è bellissimo. Il primo impatto è stato con banchi di pesci soldato, quelli rossastri, erano tantissimi, e si incrociavano con i fucilieri, poi dal mezzo sbucavano carangidi ingrugnati e saettanti, che facevano il caos, le cernie sornione si muovevano tranquille per raggiungere le loro tane. Non perdo tempo e faccio il bilanciamento del bianco, qualcuno mi avrà preso per matto nel vedermi riprendere quella tavoletta bianca, ma è il sistema per far venire i colori più veri, soprattutto quando non si usano i fari. Inizio a riprendere guardando nel piccolo monitor, ma attento a scorgere qualcosa d’interessante con la coda dell’occhio, faccio una prima carrellata per mostrare l’ambiente, ma improvvisamente scorgo un trigone gigantesco, allora addio carrellata e parto per un bel primo piano sul trigone. L’obbiettivo da 110 gradi mi costringe ad avvicinarmi molto quasi a toccarlo, l’immagine è bella ma mi manca un sub per far risaltare la mole del trigone. Vicino a me c’è Lorenzo, così con un gesto lo invito ad avvicinarsi. Lorenzo capisce e si avvicina ma credo che ignori il fatto che il trigone abbia degli aculei sulla coda, aculei che sono molto velenosi. Allunga la mano e lo accarezza, fino alla coda, il sangue mi si gela dalla paura, ma fortunatamente il trigone non è irritato e non succede niente.
L’immersione prosegue e così incontriamo il dolcilabbra, un pesce che assomiglia alla nostra ombrina o corvina, ma di dimensioni che arrivano ai tre chili ed oltre, vanno in banchi anche numerosi ed hanno la caratteristica di farsi avvicinare fino a farsi toccare. Alcuni sono biancastri altri più scuri, dipenderà dalla stagione degli amori come per i carangidi. Comunque sono la gioia dei fotografi, fanno da modelli e non schiodano neanche di fronte al sub più maldestro.
Dopo anni di esperienza ho imparato a guardare in tutte le direzioni in modo alternato, perché in mare è capace che ti passi una balena sopra e non te ne accorgi perché sei preso con un nudibranco che si è infilato in un buco, così ecco apparire verso la superficie un branco di barracuda, purtroppo non posso raggiungerli per filmarli, se non voglio rischiare una risalita veloce con conseguenze negative per la mia salute, così rosico un po’ e mi godo lo spettacolo. Mario mi aveva parlato di cernie grandi, ma quella che mi passava davanti sembrava un cinghiale, era tranquilla e si è avvicinata a Diego, guardandolo negli occhi, per alcuni attimi d’imbarazzo, sembrava volesse qualcosa da lui, è stata una scena emozionante, fortunatamente filmata da Daniele.
A Mafia non ci si viene per vedere gli squali ma a Mengue gli squali grigi ci sono e si incontrano con certezza, cosi come i grandi e panciuti pinna bianca, e poi non manca il rarissimo squalo chitarra, che ho visto però solo di sfuggita, perché correva come un razzo. La caratteristica che accomunava tutti questi esseri era che si avvicinavano con tranquillità, non affatto spaventati, segno che qui l’impatto dei sub è molto basso, perfino le tartarughe si fermavano a nuotare con noi e le cernie ci seguivano per tutta l’immersione. In effetti tranne noi sull’isola non c’erano altri sub e Mario era sempre alla scoperta di posti nuovi. Un giorno mi ha parlato di cernie veramente grandi, oltre i due metri, in una località lontana, e con acqua spesso torbida, dove non andava mai
nessuno. Siamo partiti l’indomani mattina, con un gruppo di avventurosi, la sensazione era quella di nuove scoperte, di avventura vera, ben lontana dai full-day al Giglio. Sarà stata l’imbarcazione dei pirati, il lungo tragitto in un mare calmo, la costa di un’isola deserta, l’incontro con gli indigeni sulle loro canoe, così lontani dalla costa. Sarà stato questo a darmi una sensazione che non provavo da tempo: la scoperta. Mario vista la scarsa visibilità dell’acqua era scettico, ma ormai nulla ci avrebbe fatto desistere. L’immersione è stata surreale, con pesci che schizzavano
da tutte le parti a pochi metri da noi e le codate dei grandi predatori che potevamo udire ma non vedere data la scarsa visibilità. Poi all’improvviso un gruppo di fucilieri schizza da tutte le parti e si materializza un barracuda di due metri con la bocca spalancata, le cernie non si vedono, la corrente è assente e questo a detta di Mario non gioca a nostro favore. Andiamo avanti fino ad arrivare al punto prestabilito, dove avremmo trovato le cernie giganti, ma la visibilità era di una spanna e la corrente assente, eppure le percepivo vicino sapevo che c’erano e probabilmente erano li a pochi centimetri da noi. Inevitabilmente ci perdiamo, la visibilità era di alcuni centimetri, così risaliamo a gruppi, Lorenzo e max sono con me, ci portiamo sui cinque metri per la tappa di sicurezza, il display del nuovo computer di max è chiaro e grande come una televisione, i numeri sono impressi in modo chiaro e non ci si può sbagliare, in questi casi per maggior conforto preferisco lanciare il “cazzillo” ed afferrare la sagola che è proprio di cinque metri. Così rimaniamo per tre minuti appesi come salami e poi risaliamo in superficie. Una volta a bordo puntiamo decisi verso Mengue, una striscia di sabbia che con l’alta marea sparisce quasi del tutto.
Mengue è una di quelle destinazioni che solo Mario effettua per i suoi clienti, gli altri diving preferiscono rimanere sotto costa. L’escursione viene programmata tenendo conto scrupolosamente della marea e di solito si parte la mattina. La barca dei pirati ci attende davanti al Lodge, sul fianco spicca un telo con la scritta “Big Blu”. Per salire a bordo l’acqua arriva alla pancia, camminiamo in punta di piedi per non bagnare i viveri e le attrezzature, Paola ha un’idea fantastica e porta i cuscini usati per la spiaggia, saranno sicuramente di grande utilità. C’è sempre caos in barca, ma dopo tanti anni che facciamo immersioni insieme, è caos apparente, nel senso che tra battute e occhi socchiusi ancora dal sonno, ognuno controlla e prepara al meglio la propria attrezzatura. Il cielo fortunatamente è velato, il sole ci avrebbe cotto senza pietà, così invece, utilizzando i cuscini, ci sbrachiamo sulla torretta cullati dalle onde. La sensazione è così piacevole che provo malumore, perché so che questo momento paradisiaco non potrà durare più di tanto. Si naviga a vista, supportati da una bussola e dai riferimenti a terra, la piccola Mengue non si vede, alcuni temono che sia sommersa. Il tempo passa e niente, non scorgiamo nulla, eppure non manca molto. Non escludiamo la possibilità di aver sbagliato rotta. Quanti marinai d’altri tempi debbono aver provato queste sensazioni, così ci troviamo ad osservare ogni piccolo segno sulla superficie del mare. Una canoa in lontananza, sembra ferma, arenata, è sulla spiaggia di Mengue, finalmente la vediamo. Tutto intorno è un intrigo di reef e fondali di sabbia. Sbarchiamo in questa lingua di sabbia che appare e scompare secondo i capricci delle maree. Sembriamo spaesati in un ambiente così distante dalle città, sembriamo dei topolini appena liberati in un ternario, percorriamo curiosi ogni angolo, sparpagliandoci, ed osservando tra la linea di battigia i granchi che velocissimi corrono verso il mare. Conchiglie di ogni forma potrebbero essere raccolte, anche se vietato, ma esisterebbe un posto migliore dove farebbero bella mostra che non sia questa fantastica spiaggia? Penso di no, qui deve rimanere tutto così com’è, a qualunque costo, ed anche Ravasio rinuncia alla sua bella ciprea. L’equipaggio si preoccupa di montare in poco tempo una rudimentale tenda, fatta di bastoni e vecchie vele, ma sufficiente a costituire un riparo dal sole che altrimenti ci brucerebbe. Alcuni di essi preparano un singolare barbecue, i pesci che assomigliano ai nostrani dentici vengono sistemati in verticale su sostegni di legno, come una barricata, dietro viene acceso un fuoco, ancora non capisco bene se è il fuoco o il sole a cuocerli, ma sono squisiti. Non ci sono forchette e coltelli, ma non è un problema, si mangia con le mani, tranquillamente, nessuno si lamenta, appare tutto naturale. Le trance di ananas sono come un miraggio. Tra tanta arsura sono straordinariamente fresche e succose, ne mangiamo tutti, e beviamo tanta acqua. Gli uomini dell’equipaggio in poco tempo ripuliscono il tutto, anche le nostre orme vengono cancellate dalla marea che avanza. Risaliamo a bordo e ci prepariamo per l’immersione. C’è un po’ di corrente , sarebbe meglio vestirsi a bordo, ma temo per la mia ernia cervicale, così getto tutto in acqua e con grande rapidità indosso il gruppo e afferro la videocamera. Scendiamo lungo il reef. Il corallo è integro e di tutte le forme, sembra ribollire di pesci. Sul fondo ad una ventina di metri inizia un pianoro di sabbia. Noi seguiremo la parete con spalla a destra, puntando di tanto in tanto verso il centro del pianoro. La vita è straordinaria da mari incontaminati, razze e trigoni si muovono sulla sabbia, vengono in bocca alla videocamera, banchi di dolcilabbra se ne stanno immobili a favore di corrente, ci passo in mezzo senza che si scompongono più di tanto, i compagni sono tutti intenti a fotografare e mi diverto ad asservarli, tra una miriade di pesci soldato. Ravasio mi invita a seguirlo verso il centro del canalone, la dove c’è sabbia. Improvvisamente scorgo un giardino di anguille di sabbia, provo ad avvicinarmi per filmarle, ma avendo un grandangolo sono costretto ad arrivare troppo vicino e si spaventano, nascondendosi sotto la sabbia, quindi ci rinuncio. Ravasio è tornato verso il reef, io sono al centro del canale con la corrente che incalza, guardo in alto e vedo un enorme banco di barracuda, di quelli grandi, purtroppo l’acqua non è molto limpida e sono alti, vorrei alzarmi e fermarmi con loro che nonostante la corrente sono fermi come statue, mentre io faccio una gran fatica a rimanere alla loro quota. Spero che ravasio mi sia vicino, ma quando mi giro sono solo ed i barracuda salgono e per giunta controcorrente. Li vorrei seguire e perdermi con loro, ma la pratica dell’immersione sicura che per tanti anni mi ha aiutato ad evitare situazioni difficili, prende il sopravvento, così pian piano guadagno la parete e raggiungo i compagni. Daniele mi indica una tartaruga al riparo dalla corrente sotto un corallo. Non la vedo ancora ma so che c’è, così mi avvicino piano piano e la becco faccia a faccia. Non è spaventata e si libra nel blu nuotando tra i compagni. Come al solito mi attardo a riprendere una murena, mi piace quando apre la bocca per permettere ai pesci pulitori di fare il loro dovere, così quasi no mi accorgo di uno squalo grigio che transita a mezz’acqua. mi alzo subito e mi stabilizzo alla sua quota, sperando che mi venga in bocca. Penso a quanta gente ha paura di questi esseri innocui, e talmente timidi e timorosi da tenersi sempre a debita distanza dai subacquei. Come in natura è la mole dei predatori a destare preoccupazione, per cui squali di fino a uno, due metri non sono affatto pericolosi, mentre gli altri basta non stuzzicarli ed aggredirli, perfino il grande e temibile squalo bianco, se non infastidito e se non attirato da pasture che lo eccitano, non è pericoloso.Insomma bisogna rispettarli ma non aver paura, e vedrete che l’incontro con questi splendidi predatori vi rimarrà per sempre nei vostri ricordi.
Il grigio viene verso di me, cerco di avvertire con lo sguardo Daniele, ma non posso gesticolare troppo per non spaventarlo, lo vedo sul monitor ma è lontano, appare come un puntino, in realtà ad occhio nudo lo vedo benissimo, per riprenderlo bene dovrei arrivargli almeno ad un metro ed invece a cinque metri circa vira verso il canalone, provo a seguirlo, ma è la cosa più stupida che si possa fare. Seguire uno squalo controcorrente è come salire una scala mobile al contrario con le scarpe di piombo. L’immersione termina tra mille pesci colorati e nudibranchi e con il manometro quasi a zero a causa dei consumi dovuti alle riprese ed al peso della videocamera.
Al rientro siamo stanchi ma appagati, cerchiamo un po’ di relax sulla spiaggia, e poi ci prepariamo per la cena. La doccia ci rimette in sesto anche se ci vuole un po’ di fortuna, ovviamente quando siamo in tanti a farla, l’acqua scende poca, siamo in Africa e bisogna adeguarci. Milena ci riserva una bella sorpresa, una cena in stile Masai con tanto di danzatori, l’atmosfera è surreale, le luci sono soffuse, fanno dei salti incredibili, sulle punte dei piedi, provocando un rumore assordante, inquietante, sono vestiti nei loro abiti tipici, con sandali ricavati da vecchi copertoni di automobili, confesso che quando si avvicinano gridando ed emettendo strani gemiti, mi viene un po’ di timore e sobbalzo dalla sedia. Poi arriva la cena, personalmente mi piace assaggiare i cibi locali è come integrarsi nei costumi della gente, ma cerco sempre di darmi una regolata, in quanto le spezie ed i cibi non cotti potrebbero essere fatali per il nostro intestino e rovinare la vacanza e le immersioni. Quindi cibi cotti e poco speziati, ricordo ancora un polpo lesso, avevo già l’acquolina in bocca ed invece lo sputato perché intriso di spezie. La frutta ed una specie di pizza con i calamari erano invece molto buone, e con i camerieri non c’èra problema per il bis. Ravasio li aveva ben addestrati con la fatidica frase “che diggi farà male?” e loro rispondevano ridendo a crepapelle “no,no, non fa male” e così tutte le mattine a colazione, a pranzo ed a cena, uno spasso.
L’ultimo giorno, come tutti i subacquei sanno, non si fanno immersioni, debbono passare almeno 18 ore dall’ultima immersione, prima di poter prendere l’aereo. Decidiamo di fare una visita al villaggio, certo l’ora non è molto indicata, ma per aspettare tutti si fanno le 12.00, con un sole che nei giurni precedenti non è mai stato così forte. Cosi cominciamo a sudare, ma dipende anche dal fatto che non c’è vento, il nostro Lodge invece si trovava in una posizione invidiata da tutti proprio per il fatto che era sempre ventilato. Ci incamminiamo senza una guida, ma in breve troviamo il centro del paese. Le case sono per la maggior parte piccole capanne, alcune costruite con mattoni di paglia e fango, è strano vedere i piccoli negozi, di circa quattro metri quadrati, dove c’è l’indispensabile per vivere qui. Riesco anche ad acquistare un paio di ciabatte per due dollari, una cifra enorme, considerando che la paga media si aggira sui 70, 100 dollari al mese. Raggiungiamo la scuola e accade il finimondo, tutti i bambini escono dalle classi, seguiti dagli insegnanti e ci accolgono festosamente, ma non chiedono nulla. Paola regala loro alcune tavolette di cioccolata e ciò li rende felici, viene improvvisato un trenino umano, con tanto di girotondo e si scatena una festa. Parliamo con gli insegnanti, fieri del loro lavoro, ma con non poche difficoltà. Spontaneamente ciascuno di noi offre qualcosa alla scuola, con affetto e partecipazione. Basta veramente poco per fare grandi cose, qui anche un quaderno ed una penna sono importanti, ed in fondo saranno loro i futuri guardiani di questo patrimonio dell’umanità. Dopo aver consegnato i medicinali che appositamente avevamo portato dall’Italia, come ci aveva richiesto Mario, molto sensibile ai problemi della popolazione locale, torniamo quasi disidratati al Lodge. Le comode poltrone ed i divanetti vengono presi d’assalto, e ci lasciamo viziare dal personale del Lodge con frutta fresca e bibite, le quali sono a pagamento, soltanto un dollaro, ed è sorprendente come tutto venga molto fiscalmente appuntato per poi essere fatturato, altro che terzo mondo. Siamo al momento della partenza, lasciamo a Mario tutti quei prodotti che possono essere riutilizzati e che qui è impossibile trovare. Mario è visibilmente commosso e dispiaciuto per la nostra partenza, ma so già che il prossimo gruppo che arriverà sarà composto da persone simpatiche e preparate, provengono dal gruppo Acquazzurra di Roma e sono accompagnati da Maurizio. Non mi dilungherò sulla descrizione della partenza perché mi mette tristezza, ma come fuori scena vorrei ricordare un episodio curioso. Stavamo giusto oziando seduti sui comodi divanetti, quando mi accorgo che sotto la poltrona dove è seduta Eleonora c’e un enorme granchio rossastro, probabilmente scappato dalle cucine del Lodge. Temendo che svenisse nel vederlo, anche perché stava avanzando verso i suoi piedi, ho cercato di prepararla alla strana situazione, così gli ho detto di stare tranquilla che non sarebbe accaduto nulla di grave, ma che avrebbe dovuto semplicemente alzare i piedi da terra senza fare domande. Detto e fatto, le ho poi dovuto rivelare la presenza del mostro, il quale era notevolmente più terrorizzato di noi, ma Eleonora non si è scomposta per niente, ed il granchio è scappato mentre il cuoco lo rincorreva. Altra considerazione riguardano le punture delle zanzare tra cui la temibile portatrice della malaria, ma diciamo che grazie alla zanzara tigre eravamo molto ben allenati ed alla fine ce la siamo cavata bene. Ultima considerazione la merita Leonardo da Vinci, non lo scienziato toscano, ma lo pseudonimo del pittore di Mafia, dal quale tutti abbiamo acquistato almeno una stampa, simpatico ed onesto, ma soprattutto bravo con un grande talento, e vi assicuro che fare arrivare tele e pennelli per non parlare dei colori, non è cosa facile, un applauso a questo artista il cui bel quadro rappresentante un tramonto di Mafia è ora appeso alla mia parete di casa.